Gancio Cielo
MONDIALI FIMBA: GIORNI AZZURRI
DI UN FUTURO (QUASI) PASSATO
MONTECATINI - Sono arrivato in punta di piedi. E allo stesso modo me ne sono tornato a casa, quando tutto è finito. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Ha prevalso l'istinto, e quindi quella timidezza che ho per natura, e che per il mestiere che faccio ho dovuto un po' eliminare, nascondere. D'altronde, loro, sono stati i miei primi idoli sul parquet e sapendo come sono fatto, non avrei potuto reagire in altro modo.
IDOLI - Che poi in realtà non è che fossero proprio loro, i miei idoli. Ero giovane, avevo 14-15 anni. Tifavo Milano, la squadra della mia città. E di conseguenza i suoi campioni. Meneghin, D'Antoni, McAdoo. E poi Antonello Riva, Sasha Djordjevic e Nando Gentile. Col tempo mi sono reso conto che la passione, quella vera, oltre che per la squadra della mia città era rivolta alla palla a spicchi. Una passione che cresceva, cresceva ancora, e ancora. E quand'è così inevitabilmente cresce anche la curiosità di scoprirlo per intero, quel mondo. Il mondo del basket nella sua pienezza, come a dire primo secondo contorno frutta dolce e dessert, per intenderci. E così iniziai a scoprire nuove squadre, nuovi giocatori.
I GIGANTI DEL BASKET - Scoprii Claudio Capone, che vinceva le finali di campionato segnando da metà campo nei secondi finali. Scoprii Roberto Bullara, bandiera della più forte Reggio Calabria della storia e fuciliere della Verona di Mike Iuzzolino. Chris Mcnealy ogni domenica sera era un sicuro 20+10, Stefano Sbarra, che con Roma aveva vinto tutto quello che c'era da vincere, all'epoca era compagno di squadra di quel Zdravko Radulovic che a Napoli ne segnava 30 a partita, per me, un autentico dio. E poi Riccardo Esposito, a Treviso con Kukoc, Naumoski e Orlando Woolridge, Mario Boni e i suoi 30 punti a gara, il dito medio a Pistoia e la venerazione che Montecatini ha tuttora per lui. Flavio Carera e Piero Montecchi invece già li conoscevo, d'altronde da tifoso dell'Olimpia Milano, in particolare di quell'Olimpia chi si può scordare la finale Milano-Livorno, forse la più controversa della storia del basket europeo? Flavio giocava in nazionale, e le prime partite che ho visto in televisione risalgono a quell'Europeo a Zagabria, era il 1989: ricordo il suo gancetto, la voce di Dan Peterson mentre lo raccontava, l'Urss di Arvydas Sabonis e Alexandr Volkov, tra i più forti giocatori dell'est di tutti i tempi. In questo senso come potevo non rincorrere Sasha e farmi una foto assieme a lui?
INSIEME DA SOLI - Me li sono ritrovati tutti davanti. Tutti in un unico albergo. Ragazzini di 50 anni, ognuno con la propria vita ma che ogni anno si riuniscono per fare una cosa sola. L'unica possibile da fare insieme. Giocare a basket, provando a vincere gli Europei e i Mondiali FIMBA Maxibasketball. Insieme, ma anche da soli, perché non ricevono un solo euro dalla federazione. Gli sponsor, se li trovano da soli. Lo staff tecnico, se lo sono trovati da soli. Le tenute, gli arbitri, i campi da gioco: si occupano loro di tutto quanto, fotografo compreso, un bravo fotografo. Insomma, quando mi sono unito a loro ho trovato un meccanismo già ben oliato, una macchina perfetta, sulla quale non ho fatto altro che salire, fare il mio e seguirli ogni istante, dalla loro permanenza in albergo ai massaggi, dal pranzo alla cena, dallo stretching alla partita.
STORIE D'AMORE - Le loro sono storie meravigliose, e quindi sono storie da raccontare. Perché? Beh, perché si divertono, semplicemente. Si divertono a ingannare la carta di identità, si divertono a giocare insieme. Si divertono in piscina, a cena fuori, in macchina, all'ippodromo quando scommettono sui cavalli dati vincenti che poi arrivano puntualmente ultimi. Ma soprattutto amano la pallacanestro, forse come nessun altro. Sono come un fidanzato perennemente innamorato di una ragazza che non invecchia mai. Non vuole perderla, per nessun motivo, anche se per lui gli anni invece passano e quindi ovviamente non può più amarla come un tempo, nonostante le emozioni, quelle sì, siano rimaste ancora le stesse. Ecco perché quando arriva il momento in cui non riescono più a correre sul campo per 30' in serie A o in serie B, fanno di tutto per trovare un altro modo. Un modo per continuare ad amarla, per starle vicino. E così allenano i bambini, le giovanili, le minors. Diventano dirigenti, continuano a giocare in serie C, o in serie D, e poi siccome tutto questo non basta si mettono pure a organizzare i mondiali e gli europei Over con la loro Nazionale Italiana Basket Master, portando a casa incetta di medaglie. Ditemi se può esistere un amore più grande del loro? Perché come si fa a lasciarla. Lei, la pallacanestro, è troppo bella. Talmente bella che non puoi fare a meno di lei. E per quanto assurdo possa sembrare, sono sicuro che anche lei non possa fare a meno di loro. Tutte quelle medaglie che hanno portato a casa lo dimostra. Loro, che di tornare a casa a mani vuote proprio non ne vogliono sapere.
GRAZIE - Il ringraziamento è ampio, ed esteso a tutti. In particolare però mi rivolgo a Marco Tirel, che mi ha coinvolto in questa avventura. A Riccardo Esposito per gli aneddoti sulla Benetton, per le risate in macchina e perché è napoletano ma romano di adozione, a Stefano Sbarra perché così «ce 'mpicciamo! (a Koggiak!)», a Marco Solfrini perché a 59 anni schiaccia ancora, a Venturi Maurizio perché la mandrakata, alla fine dei conti, è merito suo, ad Alberto Bucci perché il suo discorso al ristorante mi ha toccato e non poco e a Giacomo Borsari, per la pazienza che ha avuto con me.
Una pazienza che, in fondo, hanno avuto tutti.
D'altronde, io sono pur sempre quello che va in giro con la cover "Odio Tutti". ... See more